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Nuovo pronto soccorso dell'Ospedale di Mestre? Si intervenga sulla programmazione



Se allarghiamo solo gli spazi saranno sempre di più i cittadini a recarsi al pronto soccorso, occorre ripensare la medicina territoriale per evitare che i Pronto Soccorso diventino l’unico riferimento dei cittadini.

Come tutti sanno l’Ospedale dell’Angelo è stato costruito attraverso lo strumento del progetto di finanza nel non lontano 2002 determinando un indebitamento significativo della sanità veneziana. Una scelta che come Cgil sono anni che contestiamo e su cui da tempo abbiamo chiesto un intervento drastico per la revisione dei canoni di concessione, anche attraverso strumenti legislativi regionali.

L’Azienda Ulss sta pagando un canone (indicizzato) ad un raggruppamento di imprese private della durata della concessione di circa 30 anni a partire dal 4.12.2002.

Il canone di partenza è stato di euro 54.677.579 ed è un canone unico per la gestione dei servizi, come restituzione sulle opere eseguite, per rinnovi impiantistici e tecnologici. I rischi che gravano sul concessionario sono inerenti ai rischi di progettazione, costruzione opere, gestione e manutenzione. Sono corsi litri di inchiostro per denunciare le possibili ricadute negative sulla popolazione di questa operazione ed è sotto gli occhi di tutti l’incongruenza dell’opera: basta fare una visita anche “turistica" all’Angelo per rendersi conto delle criticità.

Bene ha fatto il Direttore Generale Dal Ben a fare causa al raggruppamento di imprese con il risultato, almeno simbolico, di avere una piccola riduzione del costo del canone.

Riteniamo però necessario che il dibattito sull’eventuale nuovo Pronto Soccorso si faccia sapendo che parliamo di ulteriori risorse pubbliche e che contemporaneamente stiamo prendendo atto del fallimento della nostra sanità territoriale.

Innanzitutto si deve partire dal fatto che a questo punto, l’Ulss stessa giudica fallimentare per carenze strutturali un progetto recente (gran parte delle strutture ospedaliere del Veneto sono state edificate decenni prima di quella di Mestre) su cui sta pagando un canone milionario. Dal nostro punto di vista se si considera fallimentare il progetto sul piano strutturale non si può che chiamare in causa i responsabili di fronte alla magistratura, anche contabile, per quello che compete loro e che non può ricadere sulle tasse e sulla salute dei cittadini.

Allo stesso modo è necessario però porsi due interrogativi: è una carenza strutturale per sottovalutazione del progetto che non poteva prevedere le maggiori esigenze di salute (circa il 10% in più di accessi al pronto soccorso, non stiamo certo parlando di un raddoppio e non sappiamo se questa percentuale viene calcolata anche sull’afflusso turistico) o è una carenza per sottovalutazione della programmazione territoriale?

Se è una carenza di programmazione e/o di servizi nel territorio, dobbiamo necessariamente chiamare in causa l’assenza regionale nell’assistenza territoriale e nella costruzione delle medicine di gruppo. In particolare la fallimentare gestione delle medicine, seppur sostenuta da significativi investimenti regionali con circa 50 milioni di euro, va affrontata urgentemente.

Perché per quanto possiamo allargare i muri, se si continua a determinare che sono i Pronto Soccorso a seguire i codici bianchi in ospedale, dare il messaggio ai cittadini che si allargheranno gli spazi sembra quasi un incentivo a recarsi lì invece che dal proprio medico di base.

Certo, ci vogliono accordi coi medici di medicina generale, le medicine di gruppo, i distretti con personale in numero adeguato, l’assistenza domiciliare integrata e le cure palliative, aperta 7 giorni su sette con i lavoratori necessari.

Servirebbe una grande opera culturale di spostamento dalla visione “ospedale-centrica" ad una visione territoriale, che da anni stiamo annunciando, ma che nei fatti non è mai decollata.

E visto che vogliamo parlare di adeguamenti murari ci interesserebbe avere anche informazioni dal Direttore Generale sul Pronto Soccorso di Dolo, dove i lavori sono stati bloccati e si continua a mantenere un tendone come parte del Pronto Soccorso che non siamo sicuri sia degno di una sanità che si giudica di eccellenza.

In queste settimane si è aperta la discussione per la revisione del piano socio sanitario e proprio la partita dell’assistenza territoriale sembra essere centrale. Per questo gli enti locali e le forze politiche devono chiarire quali obiettivi intendono perseguire in questa discussione e quale modello di assistenza territoriale intendono sostenere. Nel piano si intravedono tre modelli possibili: l’assistenza da parte dei medici di base, l’assunzione da parte del sistema sanitario pubblico e l’ingresso del privato.

Non vorremmo che per sopperire alle carenze organizzative e per l’impossibilità di investire risorse in un Ulss che rasenta i 100 milioni di indebitamento alla fine ci si costringa a rivolgersi al privato sia per garantire i turni ospedalieri ma soprattutto per gestire tutta l’assistenza territoriale.

Venezia, 31 luglio 2018.


Servizio di Antenna3




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